La Ruzzica: il gioco antico che ancora corre tra i sampietrini
A Roma, c’è un suono che risuona più forte della nostalgia: è quello della ruzzica, il gioco che faceva correre i bambini di una volta tra i vicoli e i mercati, tra la polvere e le risate. Un cerchio di ferro, un bastone e la voglia di gareggiare: ecco l’essenza della ruzzica, uno dei giochi popolari romani più semplici e affascinanti, capace di raccontare un’intera epoca con un solo colpo d’occhio.
Cos’è la ruzzica?
La ruzzica, o cerchio, era un gioco diffusissimo a Roma fino agli anni ’60, ma le sue origini affondano molto più indietro nel tempo. I bambini prendevano un vecchio cerchione di bicicletta o di botte e lo facevano correre per strada guidandolo con un ferro ricurvo chiamato “manico” o “bacchetta”. L’obiettivo? Farlo andare più lontano e più dritto degli altri.
Sembra poco, detto così. Eppure in quella corsa fatta di equilibrio e colpi precisi si giocava l’onore di un pomeriggio, la sfida tra rioni, e il diritto a vantarsi per giorni. La ruzzica era libertà, competizione e orgoglio, tutto in una volta sola.
Un gioco antico quanto Roma
Il gioco della ruzzica ha radici antiche, così profonde da trovare tracce persino nei tempi dell’antica Roma. I piccoli romani usavano cerchi di legno o di metallo, talvolta con campanelli per sentire il suono durante la corsa. Era un passatempo anche educativo, perché richiedeva coordinazione, ritmo e costanza.
Nel corso dei secoli, la ruzzica si è adattata: nel medioevo era usata nelle corti, nell’Ottocento correva accanto ai carretti, nel Novecento faceva ridere le comari sedute fuori casa. E nel cuore del Testaccio, ancora oggi, qualche vecchio se la ricorda con le mani dietro la schiena e il sorriso negli occhi.
Dove si giocava a Roma?
Ovunque ci fosse un po’ di spazio. Nei vicoli di Trastevere, nelle piazzette sterrate del Quadraro, lungo le strade in discesa del Pigneto, e soprattutto nei mercati, quando le bancarelle si svuotavano e rimaneva solo il lastricato caldo sotto i piedi.
Uno dei luoghi simbolo? Il Mercato di Testaccio, proprio dove oggi sorge il banco di Orietta e Rolando. Qui, tra cassette di frutta e voci che si intrecciano, ancora si respira quell’atmosfera giocosa e vera, e ogni tanto qualcuno tira fuori una ruzzica arrugginita, come una reliquia.
Ruzzica e identità: un simbolo che resta
Perché parlare oggi della ruzzica? Perché non è solo un gioco, è un simbolo di appartenenza, semplicità e ingegno romano. È il modo in cui si correva senza scarpe ma con il cuore pieno, è la Roma popolare che si arrangia con niente e inventa tutto.
In un mondo che corre veloce, la ruzzica ci ricorda che la vera velocità non è nei motori, ma nelle mani dei ragazzini che inseguivano un cerchio con lo sguardo acceso. È memoria in movimento, cultura che rotola senza perdere equilibrio.
Ruzzica e cucina: che c’entra con Orietta e Rolando?
A prima vista nulla, ma in realtà tutto. Orietta e Rolando, al banco 36 del Mercato di Testaccio, non vendono solo rosette ripiene: vendono storie, identità, ricordi, e la ruzzica è uno di questi.
Come la ruzzica, anche i loro piatti fanno pochi giri e arrivano dritti al cuore. Semplici, veri, radicati. Mangiare una rosetta amatriciana o una scarpetta co’ la trippa è come giocare alla ruzzica: torni bambino, anche solo per un attimo. Ritrovi il gusto della strada, della condivisione, della Roma che resiste.
Ruzzica oggi: una tradizione da riportare in strada
Oggi la ruzzica rischia l’oblio. Ma c’è chi la riporta in vita: laboratori per bambini, giornate nei rioni, eventi culturali tra Testaccio, Garbatella e San Lorenzo. A volte sono i nonni a insegnarla ai nipoti, a volte sono i mercati stessi — come quello di Testaccio — a tenere viva la memoria.
E allora, perché non farlo anche noi? Magari davanti a una rosetta con carbonara croccante, o dopo aver preso un bicchiere de succo fresco da Orietta e Rolando, sotto er sole che coce. Basta un cerchione, una bacchetta e un pizzico di spirito romano.
Conclusione: la ruzzica nun se scorda
Chi ha giocato alla ruzzica una volta sola nun se lo scorda più. Perché in quel rumore leggero di ferro che corre, c’è tutta la bellezza de Roma: quella che nun fa rumore, ma te resta addosso.
E proprio come dice Orietta:
“Le cose più belle nun fanno rumore. Ma te restano addosso.”
Perché la ruzzica è come una rosetta ben fatta: ci gira intorno la storia di una città intera.
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